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Cogne Acciai Speciali: 13 settimane di cassa integrazione. Zeno Pucci (Savt Industrie): “Scelta obbligata, ma siamo preoccupati” 

La Cogne Acciai Speciali ha annunciato l’attivazione di una cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) di 13 settimane, dal 24 febbraio al 25 maggio 2025, coinvolgendo 500 lavoratori su un totale di 1.234. La decisione arriva in un contesto di forte difficoltà per il settore siderurgico, aggravato dalla crisi del mercato dell’automotive, dalla riduzione delle commesse e dall’incertezza legata ai dazi sulle importazioni di acciaio negli Stati Uniti, annunciati dall’amministrazione Trump. 

Se da un lato la misura è considerata un passo necessario per gestire il calo della domanda, dall’altro i sindacati esprimono preoccupazione per le ripercussioni economiche sui lavoratori e chiedono strategie a lungo termine per fronteggiare la situazione. 

Abbiamo intervistato Zeno Pucci, segretario generale del Savt Industrie, per capire meglio l’impatto della cassa integrazione e le prospettive per il futuro. 

 Pucci, la Cogne ha deciso di attivare la cassa integrazione per 13 settimane. Qual è la situazione attuale? 

«È un momento complesso. La cassa integrazione era già stata utilizzata fino a dicembre e ora si è reso necessario riattivarla. La situazione non riguarda solo la Cogne, ma il settore siderurgico a livello globale. La domanda di acciaio è in calo ovunque, e in Italia i numeri sono ancora più critici. Per fortuna, la Cogne negli anni ha diversificato la produzione, investendo nei settori dell’elettromedicale e dell’aerospace, il che permette di mantenere attivi alcuni reparti. Ci sono infatti aree che lavorano a pieno ritmo, sette giorni su sette, mentre altre sono costrette a fermarsi.» 

 A cosa è dovuto questo calo di produzione? 

«Le cause sono diverse. Da un lato, la crisi del mercato dell’automotive ha ridotto drasticamente le commesse. Il settore è fermo per due motivi principali: il passaggio obbligato ai motori elettrici dal 2035 e l’aumento dei prezzi delle automobili, che sta scoraggiando gli acquisti. A questo si aggiungono le incertezze legate ai dazi imposti dagli Stati Uniti sull’acciaio europeo. La Cogne esporta circa l’8% della propria produzione negli USA e, se venissero applicati i dazi del 25%, i costi aumenterebbero sensibilmente. Inoltre, anche la filiale americana del gruppo, che trasforma il materiale importato, rischia di subire gli stessi rincari, con un impatto doppio per l’azienda.» 

 C’è anche un problema di pianificazione delle commesse? 

«Assolutamente sì. Fino a qualche anno fa, le aziende avevano visibilità sulle commesse con sei mesi di anticipo. Oggi si ragiona su base mensile, il che rende difficile qualsiasi programmazione. È un problema che riguarda tutto il settore, non solo la Cogne. I clienti decidono all’ultimo momento e, se si tratta di materiali particolari per l’aerospace, i tempi di produzione e certificazione sono molto più lunghi rispetto all’acciaio standard.» 

 Si tratta quindi di una cassa integrazione preventiva? 

«Sì, la richiesta è stata fatta per il massimo consentito, ovvero 13 settimane, ma non significa che si resterà fermi per tutto questo tempo. L’azienda utilizzerà la cassa in modo flessibile, fermando i forni e l’area a caldo per pochi giorni alla volta, in modo da contenere il più possibile l’impatto economico sui lavoratori. Il vero problema è che se si supera la soglia dei 15 giorni in un mese, i lavoratori perdono una serie di indennità, dalla tredicesima alle ferie maturate. Ecco perché si cerca di limitare al minimo le giornate di fermo.» 

 Guardando al futuro, quali soluzioni si possono adottare per ridurre il rischio di nuove crisi? 

«Innanzitutto, serve una strategia politica chiara. La transizione ecologica è un obiettivo giusto, ma va gestito con criterio. L’Europa sta rincorrendo il passaggio all’elettrico senza un piano industriale adeguato, mentre la Cina e l’India stanno conquistando il mercato dell’acciaio con costi molto più bassi e regolamenti meno stringenti. Se non si interviene, rischiamo di perdere interi comparti produttivi. Inoltre, le aziende devono continuare a investire nella diversificazione dei mercati e dei prodotti, come ha fatto la Cogne, per essere meno dipendenti da un solo settore.» 

 Quindi il problema è politico? 

«In buona parte sì. La crisi dell’acciaio non è un problema solo della Cogne o dell’Italia, ma di tutta l’Europa. L’industria dell’auto è paralizzata, e senza un intervento serio rischiamo di lasciare interi settori in mano ai produttori asiatici. Servirebbe una politica industriale che protegga le nostre aziende e le renda più competitive.» 

 Come giudica il dialogo con l’azienda? 

«Al momento è complicato. La Cogne stessa ha difficoltà a fare previsioni a lungo termine. Stiamo cercando di mantenere un confronto costante, ma la situazione cambia di settimana in settimana. È fondamentale trovare soluzioni condivise per tutelare i lavoratori e garantire stabilità al settore.» 

La cassa integrazione alla Cogne è un segnale delle difficoltà che il settore siderurgico sta affrontando. La sfida ora sarà quella di trovare risposte concrete per garantire un futuro solido ai lavoratori e all’industria valdostana.